martedì 22 maggio 2012

Sepolti per 86 milioni di anni e sopravvissuti


Sono i batteri scoperti nei fondali del Pacifico.



Nelle profondità degli oceani si nascondono numerose specie di batteri ancora sconosciute (fonte: Benjamin Brunner, Science/AAAS)



Vivono, sebbene siano sepolti da ben 86 milioni di anni nelle profondità dell'oceano. Sono antichissimi batteri sopravvissuti sotto gli strati di sedimento dei fondali dell'oceano Pacifico, grazie alla presenza di piccole quantità di ossigeno. 
Li ha scoperti, e descritti sulla rivista Science, una spedizione guidata da Hans Roy, dell’università danese di Aarhus. I ricercatori hanno prelevato ‘carote’ di sedimenti estratte dai fondali dell'oceano Pacifico settentrionale e, quando ne hanno analizzato il contenuto hanno scoperto la presenza dei microrganismi, che da milioni di anni sopravvivono senza alcun contatto con il mondo in superficie.
‘’Sono le prime forme di vita microbica con respirazione aerobica, che per vivere utilizzano l'ossidazione del carbonio. Altri tipi di batteri antichi sono sopravvissuti con un diverso metabolismo", commenta Bianca Colonna, microbiologa dell'Università di Roma La Sapienza.
Il batterio non è stato ancora isolato, ma i ricercatori sono riusciti a rilevare che c'é stata utilizzazione di ossigeno dovuta, secondo gli autori della ricerca, ad "una prima forma di respirazione: probabilmente si tratta di archeobatteri’’, le più antiche di forme di vita procariote, ossia organismi formati da un’unica cellula priva di nucleo.
Strato dopo strato, i sedimenti che costituiscono il fondo dell'oceano si sono accumulati nel tempo ed hanno lasciato integri ed isolati gli strati più antichi. Si ritiene che ben il 90% degli organismi unicellulari presenti sulla Terra, viva in queste condizioni. "La vastità degli oceani – rilevano i ricercatori - consente di calcolare che gran parte di questi organismi si trovi nei fondali, ma dei microrganismi microbici esistenti ne conosciamo soltanto lo 0,1%: quello nascosto in fondo agli oceani è un mondo tutto da scoprire".
Utilizzando strumenti in grado di rilevare le variazioni nella quantità di ossigeno, i ricercatori hanno scoperto che i batteri che 'abitano' questi sedimenti, risalenti ad 86 milioni di anni fa hanno un ciclo di vita estremamente lento, al punto che la loro massa varia ad un ritmo compreso tra le centinaia e le migliaia di anni.

Fonti:
ansa.it

domenica 20 maggio 2012

TERREMOTO IN EMILIA ROMAGNA: UNA PRIMA ANALISI DEL SISMA


L'ANALISI DEL TERREMOTO.
Gli esperti hanno rilevato che la sismicità si distribuisce lungo un’area allungata per circa 40 km in direzione est-ovest. I terremoti più forti della sequenza registrata sono dovuti a un fenomeno di compressione attiva in direzione nord-sud, legato alla spinta dell’Appennino settentrionale verso nord, al di sopra della placca adriatica. L’estensione della zona attiva, confrontata con la magnitudo degli eventi principali, suggerisce - è stato spiegato - che ad essersi attivato sia un sistema di faglie complesso, e non una singola faglia. La sequenza sismica ha interessato la regione padana, già sede di terremoti rilevanti nei mesi passati. In particolare, lo scorso gennaio la zona appenninica di Reggio Emilia e Parma era stata colpita da terremoti di magnitudo 4.9 e 5.4, a distanza di pochissimi giorni. I due terremoti di gennaio, sebbene avvenuti a profondità molto diverse (30 e 60 km) rispetto ai 6-8 km di quelli odierni, sono anch’essi legati ai movimenti della stessa «microplacca adriatica», che negli ultimi mesi ha avuto un’attività piuttosto intensa.

PATRIMONIO CULTURALE E ARTISTICO DISTRUTTO
L’area più colpita è quella di Finale Emilia, dove oltre alla Torre dei Modenesi definitivamente crollata dopo una scossa di assestamento, sono rimaste gravemente danneggiate la Rocca e alcune chiese. Ma la la situazione dei Beni culturali, dice il segretario generale del ministero beni culturali Antonia Pasqua Recchia, è «molto grave» in tutto il vasto territorio tra Modena e Ferrara, interessato dall’evento sismico di oggi, disseminato di castelli, rocche, edifici storici, chiese.


Fonti:
terremotirealtime.com
gazzettadimodena.it

lunedì 14 maggio 2012

GRAN BRETAGNA. STONEHENGE SUONAVA COME UNA CATTEDRALE.


Mancano alcuni pezzi, ma, quando erano al loro posto, ci dovevano essere amplificazioni e boati, echi e riverberi.



Per gli uomini del Neolitico passeggiare a Stonehenge era una esperienza «acustica» pari a quella avvertita quando si cammina lungo una cattedrale. È la teoria di un team di ricercatori dell'Università di Salford che ha trascorso quattro anni a studiare le proprietà acustiche dello storico sito per aggiungere dettagli che possano svelare il mistero della antica costruzione. Lo spazio magico racchiuso dai monoliti, ha spiegato Bruno Fazenda autore dell'indagine, «reagisce all'attività acustica in un modo che doveva apparire incredibilmente nuovo alle persone che vivevano 5mila anni fa: ricche vibrazioni e ampi riverberi che provocavano un suono inedito e impossibile da ascoltare altrove». Generando un suono nel sito che rimbalza e cresce: «Non provoca un'eco ma un effetto riverbero di un secondo, simile a quello che si avverte nelle cattedrali - ha continuato lo scienziato - per l'uomo del neolitico doveva essere un'esperienza non solo sonora ma soprattutto religiosa».
La ricerca, come spiega il «Daily Mail», ha portato alla costruzione di una simulazione audio in 3D che permette, usando un sistema di 64 canali sonori e voci, di sviluppare un'accurata e coinvolgente riproposizione di come Stonhenge «suonava».




La datazione del sito, patrimonio dell'umanità e fra i più visitati del mondo, indica che la costruzione del monumento fu intrapresa intorno al 3100 avanti Cristo e si concluse intorno al 1600 avanti Cristo. Ciò consente di scartare alcune ipotesi sulla sua realizzazione, come quella secondo la quale i Druidi erano forse stati gli artefici dell'opera è la più popolare; tuttavia la società dei Celti, che istituì il sacerdozio dei Druidi, si diffuse solamente dopo l'anno 300 avanti Cristo. Inoltre è improbabile che i Druidi avessero utilizzato il sito per i sacrifici, dal momento che eseguivano parte dei loro rituali nei boschi o in montagna, zone più adatte di un campo aperto per i «rituali della terra». E il fatto che i Romani giunsero per la prima volta sull'isola britannica quando Giulio Cesare guidò una spedizione nel 55 avanti Cristo, nega le teorie di Inigo Jones e di altri, secondo cui Stonehenge sarebbe stato costruito come un tempio romano.

Quanto ai riferimenti storici a Stonehenge, il primo si dovrebbe allo scrittore greco Diodoro Siculo (I secolo avanti Cristo) che potrebbe fare riferimento a Stonehenge in un passo della sua Bibliotheca historica. Citando Ecateo di Abdera, uno storico del IV secolo e «certi altri», Diodoro dice che «in una terra oltre i Celti» (cioè la Gallia) c'è «un'isola non più piccola della Sicilia» nel mare del nord chiamata Hyperborea, chiamata così perchè al di là del luogo di origine del vento del nord o Borea. Gli abitanti di questo luogo principalmente adorano Apollo, e ci sono «sia una magnifica zona sacra di Apollo sia un tempio notevole che è adornato con molte offerte votive ed è di forma sferica». 


Fonti:

IL PIANETA CHE ESISTE MA NON SI VEDE


Applicando ai dati del satellite Kepler la tecnica della misura delle variazioni del tempo di transito, la stessa che nel 1846 permise di prevedere l’esistenza di Nettuno, è stata rilevata la presenza di un pianeta invisibile attorno alla stella KOI-872.

Analizzando i dati di transito del pianeta "b", gli scienziati hanno previsto l’esistenza di un secondo pianeta "c" con massa pari a quella di Saturno. Crediti: Southwest Research Institute

Per esserci c’è, ed è pure grosso: più o meno come Saturno. Gli astronomi sono così certi della sua esistenza da avergli già dato pure il nome: KOI-872c. Ma non c’è alcun modo di vederlo, l’ultimo pianeta extrasolare scovato dalla sonda Kepler della NASA. E allora come hanno fatto a individuarlo e caratterizzarlo? «Mettiamola così: se un treno ad alta velocità arriva in stazione con due ore di ritardo», dice David Nesvorny, del Southwest Research Institute, primo autore dello studio appena uscito su Science, «dev’esserci una buona ragione. Ecco, il trucco è stato capire qual è, questa ragione». Fuor di metafora, se un pianeta, correndo lungo quell’evanescente ma inesorabile binario che è la sua orbita, non arriva mai puntuale agli appuntamenti prestabiliti, dev’esserci qualcosa che lo frena o che lo fa accelerare. Tipo cosa? Per esempio, un altro pianeta.

Il ragionamento non fa una grinza. Ed è anche alla base di un metodo noto da oltre un secolo e mezzo: la misura delle variazioni del tempo di transito (o TTV, transit timing variation). È proprio misurando le discrepanze fra la posizione osservata di Urano e quella attesa in base alla leggi della gravità che il matematico francese Urbain Le Verrier, esperto di meccanica celeste, riuscì nell’agosto del 1846 a predire non solo l’esistenza ma anche la posizione dell’allora sconosciuto Nettuno. Circa due mesi dopo, il pianeta venne effettivamente osservato per la prima volta, esattamente là dove Le Verrier aveva indicato.
Sorte che il gigante alieno appena scoperto da Nesvorny e colleghi difficilmente potrà condividere con Nettuno, quella di venire osservato. La sua rivoluzione attorno alla stella KOI-872 (dove KOI sta per Kepler Object of Interest), che dura circa 57 giorni, segue un’orbita tale da renderlo completamente invisibile persino all’occhio ultrasensibile di Kepler. La sonda NASA, infatti, è progettata per rilevare il cosiddetto “transito”: il passaggio d’un pianeta fra la stella che lo ospita e noi che la osserviamo. Come quello che si verificherà tra il 5 e il 6 giugno prossimi dalle nostre parti, quando Venere “transiterà”, appunto, davanti al Sole. Ma affinché un transito sia visibile occorre che il piano dell’orbita del pianeta sia allineato con il nostro punto di vista: una condizione che solo una piccola percentuale degli esopianeti soddisfa, visto che la probabilità è data dal rapporto fra il diametro della stella madre e il diametro dell’orbita del pianeta.

Nel sistema planetario di KOI-872, però, un pianeta che transita davanti alla stella c’è: si chiama KOI-872b, ed è a lui che è toccato impersonare il ruolo di pianeta perturbato che un secolo e mezzo addietro fu di Urano. Il team guidato da Nesvorny ha ricostruito dall’immenso archivio di Kepler il “diario di bordo” di tutti i suoi passaggi davanti a KOI-872, appuntandosi l’orario esatto di ogni transito. Subito gli scienziati si sono resi conto d’essere davanti a un pianeta che, quanto a puntualità, lascia parecchio a desiderare, con variazioni fino a due ore rispetto alle attese. Armati di modelli matematici e computer, gli scienziati del team si sono quindi messi a valutare i possibili scenari in grado di spiegare queste variazioni temporali. Considerando che la sigla del loro progetto, HEK, sta per Hunt for the Exomoons with Kepler, lo scenario nel quale più speravano era, probabilmente, quello in cui il colpevole delle perturbazioni si fosse rivelato un satellite, una “luna extrasolare”. Invece è saltato fuori un pianeta. Ma gli astronomi hanno comunque motivo di essere soddisfatti: sebbene KOI-872c non sia il primo in assoluto a essere scoperto con il metodo della transit timing variation, questa è la prima volta che, con il metodo alla base della scoperta di Nettuno, si riesce non solo a certificare l’esistenza di un esopianeta invisibile, ma anche a calcolarne la massa e il periodo orbitale.

Per saperne di più:

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ASPETTANDO VENERE


L’ultima occasione del secolo per assistere al transito di Venere si avvicina, e gli astronomi si stanno già preparando per sfruttare al meglio l’opportunità anche da un punto di vista scientifico: dall’analisi dell'atmosfera del pianeta all’affinamento delle tecniche per lo studio dei pianeti extrasolari.



L’appuntamento con il transito di Venere davanti al Sole è per il 5 e 6 giugno del 2012. E l’Italia, purtroppo, è condannata in partenza ad arrivarci in ritardo: già, perché quando il fenomeno inizierà da noi sarà notte, e con il sopraggiungere dell’alba del 6 giugno riusciremo a intravederne solo gli istanti finali. Peccato, perché la prossima occasione si presenterà solo nel 2117. Ma nessun timore: la tecnologia e un’organizzatissima rete globale di telescopi – fra i quali quelli del progetto Gloria, ci offriranno ampie possibilità di seguire l’evento, in diretta e non, in ogni suo aspetto.

Nell’attesa, anche fra i professionisti del cielo – molti dei quali si sono riuniti per l'occasione all’Observatoire de Paris – fervono i preparativi. Perché se lo spettacolo è irripetibile, almeno per le nostre generazioni, altrettanto lo è la possibilità offerta dal transito di Venere sul Sole per approfondire alcuni aspetti strettamente scientifici dell’astronomia. «Questo transito di Venere sarà l’ultimo nell’arco della nostra vita, e ci offrirà un’opportunità unica di osservare da vicino un pianeta simile alla Terra mentre passa davanti a una stella simile al Sole», spiega Thomas Widemann, fra gli organizzatori del workshop odierno all’Observatoire de Paris.

Due in particolare le opportunità che esso offrirà agli scienziati. La prima è quella di sfruttare Venere come esempio, in generale, di transito d’un pianeta sulla propria stella. Dunque, per mettere alla prova e approfondire le tecniche recentemente sviluppate per analizzare la composizione, la struttura e la dinamica delle atmosfere dei pianeti extrasolari. In secondo luogo, gli astronomi ne approfitteranno per effettuare osservazioni dell’atmosfera di Venere in contemporanea da Terra e dallo spazio, e in particolare con la sonda Venus Express dell’ESA. Un doppio sguardo che consentirà loro di avere accesso a una prospettiva inedita sullo strato intermedio dell’atmosfera di Venere, elemento chiave per comprendere meglio la climatologia del nostro pianeta gemello.

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Studio-shock dell’università di Tokyo: “il Monte Fuji potrebbe crollare”




Un recente studio giapponese dell’università di Tokyo, ha scoperto una nuova faglia sotto il Monte Fuji, che domina le aree circostanti con i suoi 3776 metri s.l.m. Le analisi hanno mostrato le potenzialità per un terremoto di magnitudo 7.0 Richter che potrebbe cambiare la forma della montagna e devastare le comunità limitrofe. Secondo Yasuhiro Yoshida, direttore del Ministero della Scienza per le indagini sui terremoti, la montagna potrebbe addirittura crollare, determinando enormi colate di fango che sommergerebbero Gotemba, una città posta alla base del vulcano. Ulteriori analisi saranno effettuate per determinare gli effetti di un forte terremoto e conseguente eruzione con frane devastanti. Si conosce molto poco circa la sezione geologica sotto il monte Fuji, perché le faglie sono state sepolte da colate di fango provocate da una enorme frana verificatasi circa 2.600-2.900 anni fa, così come da strati di cenere vulcanica. L’ultima eruzione del monte Fuji risale al 1707-1708, in seguito a un forte terremoto di magnitudo 8.6 centrato nella regione. Quell’evento uccise circa 20.000 persone, in una nazione quasi abituata ad eventi tellurici di un certo rilievo, la cui alta tecnologia, nulla o quasi ha permesso nel micidiale tsunami registrato nel 2011.


Il Monte Fuji è la montagna più elevata del Giappone; si trova al confine tra le prefetture diShizuoka e Yamanashi, vicino alla costa sull’Oceano Pacifico dell’isola di Honshu. Si tratta di uno stratovulcano attivo a circa 100 chilometri a sud-ovest di Tokyo, visibile dalla capitale in una giornata limpida. Il cono simmetrico eccezionale del Monte Fuji, che è innevato parecchi mesi all’anno, è un noto simbolo del Giappone ed è spesso raffigurato in arte e fotografie, nonché visitato da turisti e scalatori. E’ uno dei Tre Monti Sacri giapponesi, insieme al Monte Tate e al Monte Haku. Nelle sue vicinanze sorgono tre piccole città: si tratta di Gotemba a sud, Fujiyoshida a nord, e Fujinomiya a sud-ovest. E’ inoltre circondato da cinque laghi: Lago Kawaguchi, il Lago Yamanaka, il Lago Sai, il Lago Motosu e il Lago Shoji. Essi, e il vicino Lago Ashi, offrono una splendida visuale della montagna. La temperatura è molto bassa in alta quota, e come detto il cono è coperto dalla neve per diversi mesi dell’anno. La temperatura assoluta più bassa registrata è di -38,0°C, mentre la temperatura massima assoluta è stata di +17,8°C, registrata a Giugno 2008. Il Monte Fuji è situato sulla faglia tra la placca euroasiatica, la placca di Okhotsk e la placca delle Filippine. Tali placche costituiscono la parte occidentale e orientale del Giappone, e la penisola di Izu, rispettivamente.


Gli scienziati hanno individuato quattro fasi distinte dell’attività vulcanica nella formazione del Monte Fuji. La prima fase, detta Sen-komitake, è composta da un nucleo di andesite recentemente scoperto in profondità all’interno della montagna. Sen-komitake è stata seguita dal “Komitake Fuji“, uno strato di basalto formatosi probabilmente diverse centinaia di migliaia di anni fa. Circa 100.000 anni fa, “Old Fuji” è stato formato sopra la parte superiore del Komitake Fuji. L’attuale Fuji, Shin Fuji, si ritiene si sia formato intorno ai 10.000 anni fa sulla cima del vecchio monte. Il vulcano è attualmente classificato come attivo con un basso rischio di eruzione. L’ultima eruzione cominciò il 16 dicembre 1707 e terminò intorno al 1 Gennaio 1708 durante il periodo Edo, ossia quella fase della storia del Giappone in cui la famiglia Tokugawa detenne attraverso il bakufu il massimo potere politico e militare nel paese. L’eruzione formò un nuovo cratere e un secondo picco a metà del suo pendio. Il Fuji vomitò cenere che cadeva come pioggia su Izu, Kai, Sagami e Musashi. Da allora, non ci sono stati segni di ulteriori eruzioni ed il vulcano è in quiescenza. La sera del 15 marzo 2011 ci fu un terremoto di magnitudo 6,2 a profondità di pochi chilometri sul suo lato meridionale, ma secondo il Servizio Meteorologico giapponese non vi era alcun segnale di eruzione.

Fonte:

Vietnam e Thailandia: enormi fessure si stanno aprendo nel terreno



13 maggio 2012

In Vietnam enormi fessure si stanno aprendo nel terreno. Questo sconvolgimento geologico sta colpendo anche la Thailandia, dove sta accadendo un qualcosa di insolito e inquietante. Enormi fessure stanno aprendosi sotto i piedi degli ignari abitanti della regione che sono sbigottiti da un fenomeno assolutamente incomprensibile. Crepe giganti improvvise, voragini, collassi geologi, spaventose frane stanno accompagnando la vita delle persone. Ma cosa sta realmente succedendo nel sud est asiatico? Cosa sta originando queste fenditure? Quali forze geologiche stanno stritolando l'area?
Ecco alcune fotografie che testimoniano quello che sta succedendo...






Alcune crepe vanno dai 20cm fino ai 35cm in alcuni segmenti, formando delle fosse profonde. Molte famiglie vivono ancora a ridosso delle zone di smottamento, specialmente nel distretto di Dai Tu (Thai Nguyen) accanto alle zone franate in mezzo alle macerie. Nessuna evacuazione è stata effettuata.



Le fotografie riportate fanno riferimento al periodo che va dal 1 Gennaio 2012 al 12 Maggio 2012.

9 maggio 2012 - Bangkok - 

E cosa sta succedendo in Thailandia? Enormi fenditure si stanno aprendo nel suolo, intere strade che sprofondano, crepe di centinaia di metri stanno mettendo a repentaglio l'incolumità di intere comunità. Sembra che il territorio stia subendo uno sconvolgimento geologico senza precedenti. I movimenti della placca Indo Australiana stanno alterando gli equilibri di tutto il sud est asiatico, colpito da forti terremoti negli ultimi mesi, e che stanno facendo risvegliare i più pericolosi vulcani dell'area.

Collassa improvvisamente una strada per centinaia di metri...




8 maggio 2012 - Nel distretto di Klong Luang, Thailandia

Una strada che costeggia un canale (costa occidentale) è sprofondata fino a 1,5 -2 metri per 100 metri di lunghezza in diverse parti. Il crollo è avvenuto vicino alla strada che passa attraverso una zona residenziale.





8 maggio 2012 - circa 300 metri della Den Chai-Lampang road collassano



7 maggio 2012 - Wang Noi, Ayutthaya Thailandia

La strada e' collassata per circa 100 metri di lunghezza





Fonti: